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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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06/01/2015

LMCA: Gramsci, De Giorgi e... Gelindo

Puntata dedicata all'Epifania, e quindi anche all'adorazione dei pastori e dei Magi, tra vecchie tradizioni e 'strasurdinari' fenomeni d'attenzione intellettuale al Gelindo

   

LMCA: Gramsci, De Giorgi e... Gelindo

Viene viene la Befana
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca! la circonda
neve, gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.
Ha le mani al petto in croce,
e la neve è il suo mantello
ed il gelo il suo pannello
ed il vento la sua voce.
Ha le mani al petto in croce.
E s’accosta piano piano
alla villa, al casolare,
a guardare, ad ascoltare
or più presso or più lontano.
Piano piano, piano piano.
Che c’è dentro questa villa?
uno stropiccio leggiero.
Tutto è cheto, tutto è nero.
Un lumino passa e brilla.
Che c’è dentro questa villa?
Guarda e guarda...tre lettini
con tre bimbi a nanna, buoni.
Guarda e guarda...ai capitoni
c’è tre calze lunghe e fini.
Oh! tre calze e tre lettini.
Il lumino brilla e scende,
e ne scricchiolan le scale;
il lumino brilla e sale,
e ne palpitan le tende.
Chi mai sale? chi mai scende?
Co’ suoi doni mamma è scesa,
sale con il suo sorriso.
Il lumino le arde in viso
come lampada di chiesa.
Co’ suoi doni mamma è scesa.
La Befana alla finestra
sente e vede, e s’allontana.
Passa con la tramontana,
passa per la via maestra,
trema ogni uscio, ogni finestra.
E che c’è nel casolare?
Un sospiro lungo e fioco.
Qualche lucciola di fuoco
brilla ancor nel focolare.
Ma che c’è nel casolare?
Guarda e guarda... tre strapunti
con tre bimbi a nanna, buoni.
Tra la cenere e i carboni
c’è tre zoccoli consunti.
Oh! tre scarpe e tre strapunti...
E la mamma veglia e fila
sospirando e singhiozzando,
e rimira a quando a quando
oh! quei tre zoccoli in fila...
veglia e piange, piange e fila.
La Befana vede e sente;
fugge al monte, ch’è l’aurora.
Quella mamma piange ancora
su quei bimbi senza niente.
La Befana vede e sente.
La Befana sta sul monte.
Ciò che vede è ciò che vide:
c’è chi piange e c’è chi ride;
essa ha nuvoli alla fronte,
mentre sta sul bianco monte.


Si apre con una poesia di Giovanni Pascoli la puntata del 6 gennaio 2015 de ‘La Mia Cara Alessandria’ – trasmissione curata e condotta da Piercarlo Fabbio, in onda ogni martedì dalle frequenze di Radio Bbsi e disponibile nella sezione podcast sui siti www.fabbio.it oppure (solo per la parte storica) www.ritrattidallalba.it – Una poesia dedicata a un’antica tradizione piemontese. Il giorno dell’Epifania, infatti, si portavano i bambini a girare per presepi, nelle Chiese come nelle case, facendo declamare loro una poesia che avevano da poco imparato. Intanto nel Presepe erano giunti i re Magi, saggi e studiosi provenienti dall’Oriente, che portavano ricchi doni al Santo Bambino: oro, incenso e mirra, in segno di riconoscimento della fine di un lungo avvento del Messia e di sottomissione al Re dei Re. C’erano ancora lì i pastori, arrivati per primi, e uno di loro si avvicinava al Bambino per baciarlo con queste parole:

Voi siete il mio Signore, dulci e benigni (dolce e benigno)
E se indegno a son mei ch’av tuca (e degno faccio son ch’av toca)
Lassèalmen ch’av baza con ‘sta brita buca (Lassè ch’av basa con sta brita boca)

E’ un verso rappresentato per il novantesimo anno consecutivo dal ‘Gelindo’ ai Frati sul palco del Teatro San Francesco, ma raccolto anche in uno scritto di Antonio Gramsci del 1915 (cento anni fa) e pubblicato su ‘Il grido del popolo’ del 25 dicembre con lo pseudonimo Alfa e Gamma. Perché Gelindo è così importante per la nostra tradizione popolare che le sue radici sono ben più profonde di come oggi ci appaiono?

Ecco cosa scriveva Gramsci:
“Nel dramma sacro Gelindo è lo spirito popolare che si è impadronito del mistero della nascita del Redentore e lo ha umanizzato. La divinità non è più tale. E’ il dramma della maternità dolorante, molto vicino in quanto tale alla vita umile del pastore e della sua famiglia, non un fatto eccezionale che dovrà cambiare faccia al mondo. Maria è per Gelindo una bella sposa disgraziata che ha un marito un po’vecchiotto, la quale mette al mondo un bellissimo bambino; i re Magi ci sembrano maschere e non miracolosi personaggi che la stella condotto da lontani paesi per adorare il Messia. Quando anch’egli si reca al presepio con Alinda, Aureliae Maffeo, pensa un madrigale e lo pensa in lingua letteraria per la parte convenzionale, ma il terzo verso, quello che più vicino al suo spirito è in piemontese” (Lassè ch’av basa con sta brita boca)
Ma se prima di Gelindo, già esisteva Gelindo, come ci racconta Gramsci, allora il nostro Gelindo non è l’originale? Occorre fare un cammino un po’ più lungo di quello fatto dalla capanna dei pastori alla Grotta di Gesù Bambino…

Per la rubrica ‘Strà per stra’ arriviamo in via Giacomo Antonio De Giorgi (da via Lumelli a via Palestro). Compiuti gli studi di retorica nella sua città, fu poi a Torino, allievo, vincitore per concorso di uno dei posti gratuiti della Fondazione Pio V. Si laureò dottore in ambe le leggi il 30 luglio 1782”. Sono brevi cenni sulla sua figura scritti da Renato Lanzavecchia. “Sempre nel 1872 il Conte Giuseppe Angelo Saluzzo, Presidente della Società Reale di Scienze, lo aveva voluto suo segretario. Entrò in Magistratura e percorse una brillante carriera. Nel 1814 – caduto Napoleone – abbandonò il servizio e si dedicò esclusivamente agli studi, in cui si era già distinto per la sua attività artistico-letteraria. Il De Giorgi fu dunque espressione di quella media e piccola borghesia che in un centro agricolo, ma anche di economia mercantile quale era Alessandria, si era affermata – nell’età napoleonica – soprattutto nel pubblico impiego, dinamica ed attiva, culturalmente all’avanguardia, politicamente aperta alle istanze liberali che procedevano dallo spirito dei tempi mutati” Fin dagli anni giovanili De Giorgi si dedicò all’attività artistica e letteraria. Ciò gli aveva meritato, nel 1777, l’ingresso in Arcadia con il nome di Neresto Fereo e dal 1780 nell’Accademia degli immobili con il soprannome di “Ansioso”.

Scrive tragedie, commedie, drammi e melodrammi come ‘Il giudizio di Paride’ o il dramma eroicomico ‘Abelardo ed Eloisa’. Il suo biografo, Cristoforo Mantelli, informa De Giorgi firma un componimento, un oratorio sacro composto nel 1782, stampato a Casale nel 1797 da Maffei e poi in seconda edizione per i tipi di Capriolo in Alessandria nel 1828. Titolo: ‘I pastori di Betlemme’, un’opera in lingua e non in vernacolo, probabilmente destinata a essere messa in musica; per molti storici primo esempio di Sacra Rappresentazione della Natività in Piemonte.

Non è probabilmente il padre del Gelindo, ma la sua versione dotta.

Rodolfo Renier nel 1896 scrisse un saggio su ‘Il Gelindo, dramma sacro piemontese della natività di Cristo’, mettendoci proprio sulla strada del De Giorgi e di un’origine del Gelindo che entra ed esce dalla tradizione popolare e dalla cultura dotta, trascinandosi dietro alcuni indizi: “In Piemonte i pastori reali non si chiamarono certo mai Medoro, Tirsi, Amarilli e neppure Gelindo, Alida, Aurelia. Questi sono nomi aulici, che hanno per loro patria la bucolica antica e meglio la bucolica rinverniciata e rinfronzolita nei nostri secoli bassi, segnatamente nell’Arcadia”. E che l’Arcadia sia passata sul ‘Gelindo’ non v’è dubbio.

Così come non v'è dubbio - come racconta il Barolo - che Gelindo prenda anche le mosse dai sacerdoti che predicavano in dialetto, sollecitati al farlo dalla migliore capacità di comprensione dell'epoca.

Come tradizione ormai consolidata, anche la puntata del 6 gennaio propone i Proverbi, a tema. “A l’Epifanea peja la socla e tirla vea (Epifania prendi lo zoccolo e tiralo via)”. La notte della vigilia le giovani che potevano maritarsi prendevano uno zoccolo e lo scagliavano contro la porta della stalla, dove si faceva la veglia, perché era il posto più caldo della casa. Se la ‘socla’ cadendo si fermava con la punta rivolta verso l’esterno, c’eravamo: era l’anno buono per andarsene di casa, trovando rigorosamente marito. Se, invece, succedeva l’opposto, bisognava immediatamente recitare una giaculatoria che faceva sì che niente fosse perduto: Pater noster, basta basta cam fasa nosi; Santa Marea, basta c’am mareja; Mater Dei, basta cu sea vej. Ma non bastava l’iniziativa femminile, perché “A l’Epifania cul c’la nenta dic, cul diga (All’Epifania, chi non l’ha detto, lo dica)”. Praticamente ci si doveva dichiarare. Poi sarebbe venuta la quaresima e ciò non poteva essere fatto.

Torna anche l’Almanacco del giorno prima, fatti successi tanti, tanti anni fa in Alessandria, per chiudere con la playlist della settimana: Tre contro Tre (Il Volo vs Tre Tenori), Il Volo; ‘Wiegenlied’ (Richard Strauss, Richard Dehmel) The 3 Tenors; ‘Silent night’, Il Volo; ‘Sleigh Ride’ (Anderson, Parish), The 3 Tenors; ‘Santa Claus is coming to town’, Il Volo; ‘White Christmas’, (Berlin), The 3 Tenors.

 

La foto ritrae un momento dell'edizione del 1950 del Gelindo (Domenico Arnoldi è Gelindo), con le vecchie scenografie oggi non più usate


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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria