 |
Mimosa e alessandria
8 marzo, festa della
donna, almeno dal 1909. Una festa legata a filo doppio con l’emancipazione
femminile e lo sforzo che le donne d’inizio secolo nel mondo hanno svolto per
ottenere quella parità che la storia aveva largamente negato loro.
Auguri dunque, proprio ricordando quelle lotte, quell’impegno, quei sacrifici e
forse assai meno riferendomi al mercimonio consumistico che ha caratterizzato da
un po’ di anni a questa parte la festa.
Eppure, quasi incredibilmente, sono riuscito a scovare in questa festa un poco
di Alessandria. C’è, eccome, e non è neppure elemento così marginale. Perché
tutti sanno che il fiore principe dell’omaggio alle donne è la mimosa, ma non
proprio tutti sanno come è stato scelto. E perché c’entri Alessandria.
1945. Termina la Seconda guerra mondiale. L’Italia è sconfitta, nonostante i
ripensamenti del 1943 e il lungo periodo di Guerra civile. Come sconfitta, alla
Conferenza di Parigi, verrà comunque trattata. Gli sforzi di Alcide De
Gasperi si dimostreranno sovrumani. Vi ricordate l’incipit del suo discorso?
“Prendo la parola in questo consesso mondiale e sento che tutto tranne la
vostra cortesia è contro di me: è soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che
mi fa considerare come imputato, l'essere arrivato qui dopo che i più influenti
di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa
elaborazione. Non corro io il rischio di apparire come uno spirito angusto e
perturbatore, che si fa portavoce di egoismi nazionali e interessi unilaterali?
Signori, è vero, ho il dovere innanzi alla coscienza del mio paese e per
difendere la vitalità del mio popolo di parlare come italiano, ma sento la
responsabilità e il diritto di parlare anche come democratico antifascista, come
rappresentante della nuova Repubblica che, armonizzando in sé le aspirazioni
umanitarie di Giuseppe Mazzini, le concezioni universalistiche del cristianesimo
e le speranze internazionalistiche dei lavoratori, è tutta rivolta verso quella
pace duratura e ricostruttiva che voi cercate e verso quella cooperazione fra i
popoli che avete il compito di stabilire.”
Anni durissimi, dunque. Ma anche momenti in cui le donne potevano incominciare a
dire, con estrema dignità, la loro opinione e a farla contare in politica.
Avevano fatto la Guerra accanto agli uomini, sullo stesso piano, senza tirarsi
indietro. Ed ecco il pizzico di Alessandria, che emerge…
Proprio nel 1945, Luigi Longo era vicesegretario nazionale del Partito
Comunista Italiano. Longo era originario di Fubine e aveva fatto parte del
Comando Generale delle Brigate Garibaldi. Si voleva celebrare, come in altre
parti d’Europa, la festa della donna e regalare loro un fiore. I socialisti
francesi erano soliti regalare alle donne una violetta. Longo fece chiedere alle
compagne se fosse gradito lo stesso fiore. Sembra che ne venisse però fuori
un’altra preferenza: un’orchidea.
Purtroppo il reperimento delle orchidee non era così semplice, oltre al costo
del fiore in se stesso.
A togliere tutti dall’imbarazzo ci pensò Teresa Mattei, che sarebbe
diventata nel 1946 una delle 21 donne presenti all’Assemblea Costituente.
La Mattei, propose di adottare un fiore molto più economico, che fiorisse alla
fine dell’inverno e che era facile da trovare nei campi: da qui nacque l’idea
della mimosa.
Del resto la mimosa, il cui nome scientifico è Acacia dealbata, è una pianta
ornamentale proprio grazie alla sua splendida e profumata fioritura con fiori
gialli molto delicati. La mimosa è anche una tipica pianta pioniera, cioè tende
a preparare i terreni per l’insediamento di altre piante.
Anni dopo, in un’intervista, la Mattei disse: «La mimosa era il fiore che i
partigiani regalavano alle staffette. Mi ricordava la lotta sulle montagne e
poteva essere raccolto a mazzi e gratuitamente».
Anche se la festa della donna non divenne una ricorrenza popolare fino agli anni
Settanta, la tradizione della mimosa ebbe successo e si mantiene ancora oggi.
Come disse Teresa Mattei, morta nel 2013, a 92 anni: «Quando nel giorno della
festa della donna vedo le ragazze con un mazzolino di mimosa penso che tutto il
nostro impegno non è stato vano».
C’è però una variante. L’antefatto è sempre lo stesso, ma sembra che la Mattei,
per imporre la mimosa come fiore da dedicare alla donna sul modello del garofano
rosso del 1° maggio, si inventò di sana pianta una leggenda cinese, raccontando
che la mimosa per quel popolo rappresentava il calore della famiglia ed era il
simbolo della gentilezza femminile.
A guardar bene uno stereotipo della donna tutt’altro che rivoluzionario venne
imposto dalla Mattei e probabilmente per questo accettato.
Tantissime sono le leggende che si riferiscono alla mimosa. Provo a
raccontarvene una delle tante:
“C’era una volta un popolo forte e coraggioso la cui caratteristica peculiare
era il colore dei capelli. A differenza di quello degli abitanti delle altre
isole vicine, era del colore del sole.
Specialmente le donne, forti e bellissime, erano orgogliose di quelle nuvole
d’oro che pettinavano per lungo tempo al giorno, inventando elaborate
acconciature con trecce e nastri.
Ma i tempi erano difficili e, spesso, proprio mentre gli uomini del villaggio
erano in mare per la pesca e per i loro commerci, l’isola di Rainhor veniva
invasa e depredata dalle tribù nemiche. E molto ambite erano le giovani donne
dell’isola.
In uno di quei tristi giorni anche la dolce e bellissima Mihm, figlia del capo
villaggio, cadde nella trappola tesale da un re nemico e venne rapita, insieme
ad altre compagne, per far parte delle sue schiave.
La grotta dove le donne erano state rinchiuse in attesa del loro triste destino,
era accessibile solo dal mare, solo quando l’alta marea non sommergeva la cavità
d’ingresso, ben celata dagli arbusti che crescevano fin sopra gli scogli.
Aveva un unico condotto d’aria, che aprendosi sulla volta della grotta, sbucava
sulla sommità di una collinetta brulla a picco sugli scogli.
La giovane Mimh, forte nella sua agilità, era ben decisa a non arrendersi al suo
triste destino e, incurante del pericolo, decise che avrebbe dovuto fare
qualcosa per salvare se stessa e le sue compagne.
Fu così che chiese alle amiche di essere issata sulle loro spalle per potersi
infilare nello stretto cunicolo e cercare aiuto dall’alto della collina; era
infatti sicura che i loro parenti, e soprattutto il suo promesso sposo, stessero
cercando il nascondiglio per liberarle.
Con grande sforzo la ragazza riuscì a raggiungere l’apertura collegata
all’esterno e con abilità e determinazione si infilò fra le rocce, incurante dei
graffi che la roccia le procurava nel tentativo di raggiungere l’esterno.
L’ultimo tratto era anche il più stretto.
Il tempo sembrava non passare mai e Mimh sentiva già venir meno la sua
resistenza quando, con un ultimo sovrumano sforzo, riuscì a sporgere la testa
dalla cavità.
Da lontano vide le veloci barche della sua gente ma la sua testa affiorante
dalla collinetta non poteva essere notata da così lontano!
Allora, consapevole della sua fine ormai prossima, si sciolse le trecce e i suoi
lunghi capelli biondi cominciarono a muoversi nel vento come una bandiera.
Era il segno, l’indicazione che gli uomini stavano ardentemente cercando.
Le compagne di Mimh furono liberate, ma la coraggiosa ragazza morì soffocata dal
suo stesso ardimento e quello stretto cunicolo divenne la sua stessa tomba.
Quando il suo promesso sposo si recò sulla collina per onorare il corpo della
sua sfortunata sposa con una degna sepoltura, trovò al posto di Mihm una pianta
dalle radici profonde e fortissime, e una grande chioma di fiori d’oro che si
muovono al vento…” Appunto la Mimosa
Piercarlo Fabbio
Da La mia Cara
Alessandria, trasmissione di Radio BBSI, Martedì 8 marzo 2016
|