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Di nuovo l’alba, ma
questa volta è anche l’alba di una nuova città, che nasce, dicono gli storici,
per sinecismo, cioè che Alessandria è fondata attraverso l’unificazione
di entità politiche (Rovereto, Marengo, Gamondio e, appunto Borgoglio)
precedentemente indipendenti, che decidono di perderci qualcosa di proprio per
avere qualcosa di più potente. La città che creano sarà più forte della somma
dei quattro quartieri che la compongono. Il successo di città imperiale è
qualcosa che non ha pari almeno in Italia.
E, allora,
Piercarlo Fabbio nella puntata del 22 settembre de ‘La Mia Cara
Alessandria’ - sempre in onda il martedì dalle frequenze di Radio Bbsi
e poi disponibile nelle sezioni podcast su
www.fabbio.it e
www.ritrattidallalba.it, - da
Borgoglio o Bergoglio, che peraltro ha già la sua fortificazione a quattro
lati direttamente discendente dal Castrum romano da cui deriva e che è stato
abbandonato là, ai piedi della collina, fa quattro passi nel borgo, prima di
riprendere la macchina del tempo per curiosare nel Medioevo.
Soprattutto gli
interessano i rapporti tra la città nuova, Alessandria, e il borgo che
sta al di là del Tanaro. Una realtà che, quando Alessandria nasce, nel 1168, ha
forse più di mille anni. “E se pensiamo che Alessandria avrà 850 anni nel
2018, capiamo anche come i borgogliesi o borgogliani possano darsi
legittimamente qualche aria rispetto a quei nuovi residenti nella città al di là
del fiume, che si ostinano a chiamare alessandrini anche loro”.
Questa presunta
superiorità – o almeno, diversità – si potrà trovare per secoli anche nelle
leggi che regolano la vita cittadina: le cosiddette ‘Consuetudini’ e il
‘Codex Statutorum’, di fatto in vigore dalla fondazione della città,
anche se formalizzati tra il 1179 e il 1297. Le regole venivano, comunque,
applicate anche se non scritte. E quando venivano poi raccolte e scritte in
latino, è il caso del Codex, erano di fatto possedute solo da alcuni, che, per
lavoro o per giustizia, dovevano consultare le sudate carte.
Una diversità, si
diceva, giustificata anche dal fatto che Borgoglio era racchiuso da proprie mura
e comunque diviso da Rovereto, Gamondio e Marengo dall’impiccio del Tanaro, che
certo, come abbiamo assistito nella scorsa puntata, faceva fare affari ai
borgogliani, ma dava anche non poche preoccupazioni per quel suo carattere
bizzoso ed impetuoso, che lo contraddistingueva in alcune stagioni intermedie
come l’autunno e la primavera. Non a caso il podestà del 1297, Muriolo di
Vidalta, nel suo giuramento avanti la città si deve porre più di un problema
riguardante il rapporto tra Borgoglio e il fiume. Il giuramento è una specie di
programma elettorale, sentiamolo mentre lo sta leggendo al Consiglio degli
anziani:
“Io, Podestà, giuro sopra i santi Vangeli di Dio di salvare, difendere e
custodire tutte le chiese della Città, della campagna, cioè del territorio della
città di Alessandria, tutte le chiese a loro pertinenti, in particolare l’onore
e la condizione della Chiesa Maggiore e della fabbriceria di San Pietro, di
tutti gli ospedali, dei culti, delle vedove e degli orfani della città e del
territorio di Alessandria (…) Circa la fortificazione e la difesa della porta di
Borgoglio dalla piena del fiume Tanaro, entro un mese dall’ingresso nel mio
mandato riunirò il Consiglio Generale ed eseguirò tutto quanto sarà gradito allo
stesso Consiglio e darò ordine per la messa in atto”
Le mura, quindi, avevano un doppio scopo, difensivo da invasori, nonché
argini alle piene del Tanaro. Evidentemente anche piccole falle avrebbero creato
non pochi problemi alla popolazione, in caso di esondazione del fiume dal
proprio letto.
Ma, si diceva poi,
della lontananza e del fatto che questi alessandrini-borgogliani fossero
considerati non proprio di Alessandria-centro. Sentite questa regola, la
134esima, del Codex e ve ne renderete conto:
“Inoltre è stato stabilito ed ordinato che chi non farà il suo turno di
guardia o non si farà sostituire, pagherà come ammenda cinque soldi, a meno che
non sia talmente ammalato da non poter comodamente assolvere il compito, oppure
se non fosse fuori città quando gli sarà stato comunicato il suo turno di
sorveglianza e si trovasse nel (quartiere) di Borgoglio. Altrettanto andrà
inteso per coloro che non partecipassero al Consiglio e si crederà al loro
giuramento o (a quello di) qualcun altro per loro”.
C’è, poi, un’altra
atavica questione che, se proprio non divide, almeno marca le distanze tra gli
alessandrini e quelli di Borgoglio: l’alleanza di quest’ultimi con il
Marchese Guglielmo di Monferrato. Vero che la fondazione di Alessandria cui
concorre Borgoglio è di fatto una rottura di tale alleanza, ma a Borgoglio i
tifosi di Guglielmo, nostalgici fin che si vuole, ci sono ancora eccome. Proprio
per questo nel 1292 viene emesso un editto pubblico contro la figura del
Marchese Guglielmo per “farli scorno e disonore”, con tanto di pene per i
trasgressori. Cosa si dovrebbe fare? Cancellare “da ogni luogo della Città, e
del suo territorio, le insegne, arme, inscrizioni, i nomi e qualsivoglia memoria
di esso Marchese”.
Nonostante il cogente
editto, però, alcuni borgogliani si prendono gioco delle autorità cittadine,
dipingendo l’Arme (cioè lo stemma) di Guglielmo sul muro esterno della Chiesa di
Santo Stefano in Bergoglio. Il Ghilini fa una descrizione, nei
suoi Annali, dell’Arme così dipinta: “Scudo egualmente tagliato per trauerso,
la cui parte superiore è di colore rosso, e l’inferiore è bianca argentata”.
Non c’è dubbio è proprio lo stemma degli Aleramici. Ma è anche vero che le
Chiese, nel diritto feudale, sono sottratte al potere del signore.
Intanto non cresce
solo Alessandria, ma anche Borgoglio che si dota di servizi, diciamo così, di
pubblica utilità. E così lo racconta Gianfranco Calorio:
“Grazie al patrocinio di Giovannino Guasco, i Servi (di Maria Vergine)
erigono anche uno Spedale per i Pellegrini, ossia una struttura di tipo
ricettivo-residenziale e non un luogo di cura, dedicata a Sant’Antonio Abate,
nell’isolato dove, successivamente, sarà fabbricata la Chiesa dell’Annunziata
Nuova”. (G. Calorio, op. cit.)
A Borgoglio c’è una forte propensione per l’accoglienza. “Ci viene in mente
chi, pensando ad un futuro riutilizzo della Cittadella, pensava anche a
strutture ricettive. Beh, non era certo fuori dal tempo”.
Per le ‘Reclame
d’annata… però’ si ripropone ‘Lotion Antirides Arista’ (in ‘Noi e il
Mondo’, anno III, n. 1, Gennaio 1913); tornano anche i proverbi: ‘Semna i
pois a San Mauris e tna avrai a tò capris. Semina i piselli a San Maurizio e
ne avrai a volontà (cioè secondo i tuoi capricci)’, ricordando - come dirà
meglio l’Almanacco del giorno prima - San Maurizio Martire, patrono degli
Alpini (saranno ad Acqui Terme il 10-11 ottobre), patrono anche dei tintori,
degli ordini cavallereschi e invocato contro la gotta, il male dei signori che
potevano mangiare carne e una dieta iperproteica poteva scatenare i terribili
dolori di questa malattia, che normalmente coglie all’articolazione dell’alluce.
Dopo l’Almanacco, si
chiude in musica con la playlist, ‘Tra le due guerre oltre manica e oltre
oceano’ di Alessandro Cagnoli: 'There's too many eyes' Ipana
Troubadours, 'I never had a chance' Al Bowlly, 'Anything goes' Cole Porter,
Artie Shaw - Helen Forrest - Deep Purple, 'Into each life some rain must fall'
Ella Fitzgerald & The Inkspots, 'Charlie my boy' Bob Crosby & The Bobcats,
'Cheek to cheek' Boswell Sisters, Louise Bob Haring Orchestra, 'Dream a little
dream of me' Jack Leon & his Band, 'Don't get around' The Inkspots.
L'illustrazione è
tratta da Gianfranco Calorio, Bergolium, vol. 1°: il Territorio e l'Abitato
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