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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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28/12/2025

Natale, accessibilità e diritti dimenticati

Una città può essere piena di luci e persone e, allo stesso tempo, escluderne molte senza provare disagio...

   

Natale, accessibilità e diritti dimenticati

di Piercarlo Fabbio (consigliere delegato ANMIC nel Consiglio FAND)

Le considerazioni espresse da Patrizia Gariffo su Repubblica il 23 dicembre scorso colgono un punto tanto evidente quanto sistematicamente ignorato: il periodo natalizio, quello che più di ogni altro celebra la condivisione e la partecipazione, è anche il momento in cui l’accessibilità negata diventa una costante delle nostre città. Condivido pienamente questo sguardo, perché restituisce una realtà che sotto gli occhi di tutti continua a non essere vista. E il Natale, anziché nascondere il contrasto, lo acuisce, almeno per chi vuole vedere.

A Natale e per le feste i centri storici si riempiono, le vetrine invitano a entrare, le piazze si animano di eventi, mercatini, spettacoli. Tutto sembra muoversi in un’atmosfera fiabesca e inclusiva. Tutto, tranne una parte delle persone. Per chi vive una condizione di disabilità, la festa spesso si ferma davanti a un gradino, a un marciapiede troppo alto, a una porta stretta, a un locale senza servizi accessibili. E questo non accade in modo eccezionale, ma strutturale. Ogni anno. In ogni città. E Alessandria non fa certo eccezione.

Anche per le persone con disabilità è ormai messo in conto che la libertà di movimento non sia un diritto pienamente garantito. Entrare in un negozio, sedersi a un tavolo, attraversare un centro storico senza ostacoli diventano azioni condizionate, affidate alla buona volontà di qualcuno o all’improvvisazione del momento. Il fatto che questa esclusione non provochi scandalo, che venga accettata come parte del paesaggio urbano, è uno degli aspetti più gravi della questione.

C’è però un punto che merita di essere ribadito con forza: l’accessibilità non riguarda una minoranza. Ognuno di noi, anche solo temporaneamente, può trovarsi in una condizione di ridotta mobilità. Una donna incinta, una persona anziana, chiunque subisca un infortunio e debba muoversi con un gesso o delle stampelle, una malattia invalidante. Progettare scuole, luoghi pubblici, strade e marciapiedi senza barriere architettoniche significa rendere quegli spazi fruibili da tutti, non “favorire” qualcuno. Mai il contrario. Occorre però passare ad una seconda fase, quella di intervenire sul costruito, senza necessità di pensare alle riqualificazioni necessariamente complessive. Non ci si vergogni di piccoli interventi riparatori, se condotti anche in maniera disarmonica. L’importante è restituire i diritti a coloro ai quali sono stati sottratti.

E non si può nemmeno sostenere che manchino le regole. In Italia l’accessibilità è disciplinata da un quadro normativo chiaro e consolidato. Dalla legge n. 13 del 1989, che introduceva misure per il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche, al D.M. 236/1989, che definisce criteri tecnici precisi per l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici, fino al Testo unico dell’edilizia (D.P.R. 380/2001) e alla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia con la legge n. 18 del 2009. Le norme esistono. A mancare è l’applicazione. In Alessandria, da circa un ventennio, esiste in Municipio la figura del disability manager. La sua integrazione con il sistema organizzativo interno è però ancora da rendere completo: resistenze, pastoie burocratiche, remore e abitudini procedurali ne frenano l’integrazione nei processi decisionali. Qui occorre accelerare e uniformare sensibilità politiche troppo differenti da un’Amministrazione all’altra.

Perché le barriere persistono per abitudine, disinteresse, assenza di controlli e di una reale assunzione di responsabilità. Eppure, ignorare l’accessibilità non è solo una scelta ingiusta, ma anche inefficiente. Progettare male significa generare sprechi: opere realizzate senza tener conto delle norme devono poi essere abbattute o modificate, con costi aggiuntivi che ricadono sulla collettività. Rispettare l’accessibilità fin dall’inizio è una scelta di civiltà, ma anche di buon governo.

In questo contesto colpisce il contrasto tra il dibattito acceso su simboli e presunte discriminazioni e il silenzio che circonda le discriminazioni reali, quotidiane e tangibili. Si discute animatamente di inclusione mentre si accetta, senza protestare, che una parte delle persone resti fuori dai luoghi della socialità, proprio nel periodo in cui quella socialità dovrebbe essere massima.

L’esclusione non è solo impossibilità esplicita: è anche dover chiedere aiuto per fare ciò che per altri è scontato. È dipendere da qualcuno per entrare in un negozio o partecipare a un evento. È vivere la propria presenza come una concessione e non come un diritto. Quando l’accessibilità diventa una gentilezza e non un obbligo, il diritto è già stato svuotato.

Natale rende tutto questo più visibile, perché amplifica le contraddizioni. Una città può essere piena di luci e persone e, allo stesso tempo, escluderne molte senza provare disagio. Ma l’inclusione non si misura con le luminarie, con le ruote panoramiche o con gli slogan. Si misura nella possibilità concreta di vivere gli stessi spazi, negli stessi tempi, senza dover negoziare ogni volta la propria presenza.

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria