L'effetto quorum ha
già fatto sentire i suoi effetti su Piazza Affari, dove per tutta la mattinata
sono finiti sotto pressione i titoli delle società municipalizzate impegnate nel
settore dell'acqua per le quali il “sì” creerà un periodo di incertezza
regolatoria fino all`approvazione del nuovo schema tariffario da parte
dell´authority nominata dal governo.
E il bello è che a
pagare le conseguenze più pesanti della demagogia referendaria sarà proprio una
grande azienda come Hera, ideata e costituita dagli amministratori locali
emiliani del Pd, e che è solo la capofila delle tante multiutility a
partecipazione mista pubblico-privato che gestiscono i servizi di pubblica
utilità (Hera da sola distribuisce utili agli enti locali per 117 milioni, con
un fatturato complessivo di 3,6 miliardi di euro e garantisce migliaia di posti
di lavoro).
Si tratta, tanto per
essere chiari, di un modello di gestione nato da una costola del vecchio ed
efficientissimo comunismo emiliano che oggi osserva allibito la posizione presa
dall'emiliano Bersani sui referendum. La costernazione è tanta che
l'amministratore delegato di Hera, manager con un passato nelle cooperative
rosse, ha pensato bene di prendere fragorosamente le distanze dal partito: "Se
vince il sì, il referendum bloccherà gli investimenti, con effetti pesanti per
l'occupazione e pericolosi per i consumatori".
Si rischia, insomma,
il blocco dei servizi pubblici locali, perché i Comuni non possono spendere e
l'effetto immediato del sì sarebbe la scomparsa totale delle risorse private
indispensabili per la manutenzione e l'ammodernamento degli acquedotti. Una
realtà che i dirigenti nazionali del Pd conoscono benissimo, ma che hanno
ignorato per cavalcare l'onda antigovernativa che si è alzata con i ballottaggi
delle amministrative di maggio: una tentazione irresponsabilmente ghiotta per
mobilitare ancora una volta le masse contro Berlusconi.
Ma le vere
conseguenze del sì ai referendum sarà il Pd a pagarle, visto che dovrà non solo
fare i conti con i propri amministratori locali infuriati, ma spiegare
l'inevitabile perdita di posti di lavoro nelle municipalizzate e l'impoverimento
dei servizi di pubblica utilità. E sarà una spiegazione difficile da dare perché
- come ha ricordato il sindaco di Firenze Renzi - il Pd ha chiesto di votare sì
al quesito numero due sull’acqua, cioè sulla remunerabilità degli investimenti,
per abrogare una norma che fu introdotta dal governo Prodi con un provvedimento
firmato dall’allora ministro Di Pietro. Un'autosconfessione in piena regola che
rientra perfettamente, però, nella vecchia logica comunista del "contrordine
compagni" per cui il bianco diventa nero se conviene al partito.
Ma è davvero
convenuto al Pd schierarsi per quattro sì ai referendum? Dopo i fumi dei
festeggiamenti Bersani dovrà scontrarsi con la difficile realtà e spiegare come
ha potuto un partito "riformista" ingannare gli elettori e portarli a votare
contro i loro interessi. In politica come nella vita, si sa, chi semina vento
raccoglie tempesta.
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