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Domenica 28 aprile 2024

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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26/10/2008

Il nuovo Ospedale è l'occasione per riprogettare la sanità in Alessandria

Intervento del Sindaco Fabbio al Convegno organizzato dal Gruppo Consiliare Comunale di Forza Italia verso il Partito del Popolo della Libertà. Cosa non funziona e come si dovrebbe fare

   

Il nuovo Ospedale è l'occasione per riprogettare la sanità in Alessandria

Volevo fare gli auguri a Maria Teresa Flecchia per il nuovo incarico che è di grande rilievo e prestigio e certamente lascerà un vuoto incolmabile nei nostri cuori, nelle nostre menti, nella nostra memoria.
Il tema è interessante, sarebbero infatti da scandagliare problematiche connesse al rapporto tra Aso e Asl. Fatto che interessa moltissimo al nostro territorio. C’è una grandissima occasione per dare il là a questo rapporto in modo serio iniziando dalla progettazione, passando attraverso l’individuazione della locazione e, infine, la costruzione del nuovo ospedale.
In questa fase abbiamo sottovalutato il problema. Ci si è avvicinati al nuovo ospedale quasi come se fosse un nuovo giocattolo da mettere a disposizione della città. Da una parte vige ancora il tentativo di sottolineare chi abbia avuto per primo l’idea, dall’altra quella che fosse semplicemente un trasloco del vecchio ospedale in un’altra area.
A me pare che non ricorra né l’una, né l’altra condizione, ma valga un discorso, iniziato il giorno dopo che l’ospedale di Alessandria fu invaso dalle acque dell’alluvione, e da allora irrisolto.
Immediatamente dopo l’esondazione del Tanaro del 1994 e la decisione di evacuare l’ospedale, partì il dibattito sulla ristrutturazione del vecchio ospedale: era il caso di sfruttare l’occasione per non riprogettare l’obsolescenza, cioè rifare nello stesso posto quello che era già superato dalle condizioni di contesto oppure no? C’è voluto un po’ di tempo per avere ragione, ma in realtà poi la riflessione è andata verso questa direzione: non si può fare nello stesso sedime un ospedale che abbia necessità di nuove condizioni di funzionamento. Bisogna cambiare area e, nello stesso tempo, mantenere un buon livello di qualità dell’ospedale funzionante. Il rischio che si corre è dunque quello di raddoppiare i costi, perché si deve mantenere l’attività di eccellenza dell’ospedale e contestualmente mettere in cantiere tutto il percorso di costruzione e progettazione del nuovo nosocomio.
Ho detto che finora è stato sottovalutato questo aspetto, perché era una grande occasione per integrare la sanità del territorio con la sanità ospedaliera, visto che oggi si campa a compartimenti stagni. Ci sono invece ovvii motivi di collegamento tra l’una e l’altra. Molte volte non vengono praticati, addirittura vengono nascosti, e non vengono utilizzati in favore della popolazione come si dovrebbe. Sottovalutare il nuovo ospedale significa perdere un’occasione: noi dobbiamo iniziare a fare studi diversi per esempio studi epidemiologici sull’età della popolazione, sulle patologie attese, dobbiamo dal territorio coniugare il fabbisogno futuro con le caratteristiche di una nuova struttura. Bisogna oggi già pensare ad un ospedale che fra 10 anni viaggi nella sua quotidianità e non nell’attuale dimensione.
Una delle questioni che riguarda la sanità ospedaliera e quella sul territorio è la necessità di tecnologie. La sanità cambia. Fino a poco tempo fa prevaleva l’elemento umano, la capacità del medico di diagnosticare, di comprendere patologie complicate attraverso le proprie conoscenze. Oggi questo serve, ma non basta, perché occorre una strumentazione talmente vasta di diagnostica e di aiuto all’interventistica, che ovviamente deve essere considerata nell’ospedale del futuro ad un livello sempre più alto. Se noi costruissimo l’ospedale “del trasloco”, basterebbe dire: tante sono le sale operatorie e tante saranno, tanti sono i posti e tanti saranno.
Noi abbiamo un grande vantaggio, quello di avere in Alessandria due Atenei. Vero che non esiste qui la facoltà di Medicina, ma, in compenso, vi sono facoltà tecnico-scientifiche e il Politecnico. Quando io ricorro all’idea della tecnologia penso subito che questo tipo di università ci possa aiutare di più rispetto addirittura alla facoltà di medicina, perché la bioingegneria, le attrezzature biomediche possono essere studiate e sperimentate nel raccordo che ci deve essere tra università è sanità nel suo complesso. Ovviamente l’ospedale delle eccellenze potrà essere il luogo della maggiore sperimentazione possibile. C’è poi la questione della sanità di frontiera. La mobilità è dunque alta. Ebbene, per quella passiva, oggi basta il dipartimento cardio-chirurgico della clinica Città di Alessandria per equilibrare i flussi, e quindi anche la sanità privata ha un suo interesse, un suo spazio, un suo valore economico e finanziario in grado di risolvere qualche problema, oltre che dal punto di vista della mera interventistica.
L’occasione è quindi quella di andare ad utilizzare l’ospedale nuovo di Alessandria per rimodulare l’intero sistema sanitario cittadino, zonale e provinciale. Da questo punto di vista bisognerebbe decidere, una volta per tutte, chi fa l’ospedale territoriale e chi fa l’ospedale di eccellenza. Ora chi fa l’ospedale di eccellenza è Alessandria, ma l’ospedale di Alessandria deve continuare ad avere questa sorta di bifidazione, cioè essere nello stesso tempo ospedale di eccellenza ed ospedale territoriale, o deve piano piano rilasciare il suo percorso di ospedale territoriale per acquisire esclusivamente la dimensione di eccellenza?
È una domanda a cui si può rispondere con un certo lavorio.
Prendiamo ad esempio il presidio Borsalino: nel dicembre 1994, alcuni consiglieri comunali, pur nel freddo, pur nella città mezza rovinata dall’alluvione raccolgono 5000 firme per collocare l’unità spinale all’Ospedale Pneumologico Borsalino.
Si ottennero poi le conseguenti deroghe per potere avere l’unità spinale e oggi noi abbiamo alcuni reparti pur avanzati di fisioterapia, che è cosa diversa da ciò che il territorio aveva chiesto e sperato di ottenere. L’unità spinale cura l’acuto, prende l’acuto in carica e poi lo porta fino alla sua rieducazione e reinserimento. Senza unità spinale ci arriva già qualcuno che è uscito dalla fase acuta, è già stato curato e a noi tocca la fase di recupero, riabilitazione, reinserimento. Sono due cose diverse.
Allora noi chiedemmo l’unità spinale, perché sapevamo che occorreva più eccellenza in questa città. Ci possono essere delle riabilitazioni e delle fisioterapie molto avanzate, ma non sono una unità spinale. Anche le risorse di carattere privato, come quelle della Fondazione Cassa di Risparmio sul Borsalino, reggono se attengono ad un investimento di qualità, hanno meno ragione se finanziano una fisioterapia pur di alto livello. Il tempo di rientro dal finanziamento è molto più lungo rispetto a come sarebbe stato per un’unità spinale. Sono cose importanti, perché in realtà bloccano risorse che avrebbero dovuto, nell’idea complessiva degli amministratori di questa città, essere svincolate in minor tempo e quindi essere rimesse a disposizione di altri usi sociali. Così la comunità diventa più povera per il non rientro e per l’eccellenza non acquisita.
Se dunque noi ragioniamo sull’ospedale come elemento e occasione per potere ridisegnare la sanità, è chiaro che dobbiamo partire da un ospedale di eccellenza almeno in prospettiva, riducendo sempre di più quella sua soglia da intervento di ospedale territoriale e facendolo sostituire da ospedali che possono, a pieno titolo, essere utilizzati come ospedali territoriali, ma qui ci vuole l’intervento dell’Asl. Qui non c’è più bisogno dell’Aso, i compartimenti stagni devono saltare, perché non è possibile, per esempio, ritenere di potenziare l’ospedale Cesare Arrigo e di mantenere aperti le S.O.C (Strutture Operative Complesse, i Reparti tradizionalmente conosciuti) di pediatria negli ospedali territoriali, perché questo vuol dire indebolire l’ospedale infantile, che è per altro uno dei pochi esempi in Italia di ospedale pediatrico non inserito in un capoluogo di Regione.
Se da parte dei nostri padri vi è stata una strenua ricerca dell’eccellenza, mi pare che questa debba essere mantenuta. Io ho denunciato, anche a mezzo stampa, il potenziale indebolimento dell’ospedale Cesare Arrigo, che dal punto di vista della struttura interna all’azienda ospedaliera ha perso i dipartimenti autonomi. Perdere i dipartimenti vuol dire perdere progressivamente autonomia. Le S.O.C sono state inserite nei dipartimenti di chirurgia, piuttosto che di anestesia dell’ospedale civile.
Non che questo sia in guaio dal punto di vista delle prestazioni, ma è un problema in termini di autonomia organizzativa e finisce per cancellare l’idea di un presidio autonomo. Ci sono ancora le funzioni ma sono inserite all’interno di un’area di coordinamento diversa. Io ritenevo che una battaglia dovesse essere fatta, perché questo è sempre il primo passo: tolgono l’autonomia e domani ridurranno le risorse. Ci sarà una retrocessione costante e progressiva dalle posizioni fin qui mantenute. Secondo me maggiore equilibrio all’interno delle organizzazioni aziendali potrebbe garantire una maggiore capacità di qualità nella offerta dei servizi. L’Asl però deve governare i processi di duplicazione sul territorio di aspetti qualitativi, come nel caso della pediatria.
Se Alessandria si ritira progressivamente come ospedale di territorio, per acquisire la dimensione di ospedale di eccellenza è chiaro che dall’altra parte l’Asl deve garantire condizioni di non duplicabilità di quelle eccellenze negli altri territori. Aso e Asl devono parlarsi, lo ribadisco: cosa che in questi anni non hanno fatto.
All’interno del piano di riqualificazione e rientro (PRR) dell’ospedale di Alessandria, non trovate menzionati i rapporti tra Aso e Asl; non vi è all’interno del documento allegato al protocollo d’intesa per il nuovo ospedale di Alessandria, firmato da noi, dalla Provincia dalla Regione e dall’Aso, un capitolo dedicato al rapporto tra il nuovo ospedale a l’Asl.
Qualcuno dovrà pur fare il primo passo verso questa nuova dimensione. Se si ha bisogno del sindaco, non in qualità di autorità di sanità locale, ma come elemento di correlazione fra interessi diversi - il territorio e l’eccellenza - allora il Sindaco è a disposizione per questo tipo di operazione. Se si ha bisogno dell’ente pubblico per un approfondimento delle questioni che riguardano le tensioni che ci potrebbero essere tra ospedale e azienda territoriale, allora questa amministrazione è a disposizione, non solo delineando quello che ci è stato chiesto qualche giorno fa e che stiamo costruendo e che vogliamo confrontare, cioè un progetto per la sanità territoriale in Alessandria, ma soprattutto svolgendo il nostro ruolo politico che è quello di individuare il fabbisogno.
E oggi sono consapevole vi sia un problema di governance, prima ancora che di espletazione dei servizi. È nella governance dei rapporti, è nel riuscire a fare governo di interessi diversi che ci sono sul territorio, ma che hanno un unico obiettivo, quello di dare al cittadino maggiore qualità di intervento, quello di fornire al cittadino un maggiore livello di qualità della propria esistenza, quello di dare al cittadino una attesa di vita più lunga, ma anche una qualità di vita più consistente.
Questi sono gli obiettivi e su questi intendiamo impegnarci. Capisco che ci saranno aspetti più tecnici e di approfondimento maggiore, però ritengo che già potere svolgere, conoscendo i problemi, il ruolo di coordinamento, di relazione, di intermediazione fra interessi non ancora collimanti, ma presenti sul territorio, possa incominciare ad essere una politica che ha titolo a svolgere la Città di Alessandria, proprio perché non è affrontata dalle attuali due centrali sanitarie locali.

Il Sindaco di Alessandria
Piercarlo Fabbio


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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria